Apprendere la lingua, trovare un lavoro e ricostruire la propria vita in dignità può rivelarsi complicato per le rifugiate e i rifugiati in Italia. Sebbene le variabili che entrano in gioco siano numerose, l’aspetto fondamentale del processo di inclusione è quello relativo all’instaurazione di relazioni personali e sociali significative attraverso le quali i rifugiati possano veramente divenire parte di una comunità.
Per questa ragione, l’UNHCR sta promuovendo un progetto di Community Matching tramite cui i membri delle comunità di accoglienza e i rifugiati possono diventare “buddy” che lavorano insieme per conseguire obiettivi comuni.
Il progetto, sviluppato in partenariato con Refugees Welcome Italia e CIAC, grazie al sostegno dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, è già attivo a Roma, Milano, Torino, Palermo, Bari e Napoli, e si basa sul presupposto che nella relazione tra buddies entrambe le persone traggono vantaggi, sfatando il mito secondo cui i rifugiati siano esclusivamente persone bisognose di assistenza che non hanno niente da offrire.
“Sono in Italia da cinque anni, ho imparato la lingua da autodidatta e ho trovato un lavoro, ma non ho mai avuto un amico italiano”, racconta Shabbir, ragazzo afghano di 24 anni tra i 79 rifugiati che hanno trovato un buddy attraverso il sito dedicato. “Credo ci sia una barriera nella mente delle persone che impedisce loro di conoscersi, sia i rifugiati sia gli italiani hanno bisogno di qualcosa che li aiuti a fare il primo passo. Credo che stringere amicizia con persone italiane sia l’unico modo per integrarsi in questa società. Insieme ad Antonio, il mio buddy, facciamo cose della vita di tutti i giorni come andare a passeggiare e mangiare una pizza, ma ho notato che le persone ci guardano con insistenza perché non sono abituate a vedere italiani e rifugiati passare del tempo insieme”.
Attraverso il progetto Community Matching, volontarie e volontari fissano inoltre obiettivi specifici, come aiutare i rifugiati a migliorare le competenze linguistiche, trovare un lavoro, o conseguire la patente di guida, un processo che spesso arricchisce entrambi. “Quando le persone arrivano nel nostro Paese hanno bisogno di supporto pratico, un posto in cui dormire e regolarizzare i documenti. Terminata questa fase, instaurare relazioni è essenziale per far sentire benvenute le persone. È importante per chiunque, indipendentemente dal luogo di provenienza, ma ancora di più per i rifugiati, che hanno dovuto vivere esperienze atroci”, afferma Daniela, una volontaria di Torino. “Solo se si sentiranno benvenute, le persone vorranno davvero far parte della nostra società dando il proprio contributo, il che significa instaurare rapporti paritari, nei quali diamo e riceviamo allo stesso tempo”.