I rifugiati hanno bisogno di studiare per ricominciare a sognare. La storia di Jules

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“Questi sono i miei pensieri e le mie preghiere” dice Jules sorridendo, mentre indica una parete piena di frasi e appunti scarabocchiati a mano nel suo bel monolocale a pochi passi dalla centrale Piazza della Signoria, nel cuore di Firenze. “Scrivo qualunque cosa mi ispiri, mi aiuta a rimanere concentrato”.


Quando Jules è fuggito dalla Repubblica Democratica del Congo, la sua preoccupazione era mettersi in salvo, trovare una casa e risolvere le cose più semplici. Pochi mesi dopo la sua nascita, entrambi i genitori hanno perso la vita durante gli scontri etnici e Jules è andato a vivere con la famiglia di sua zia a Goma, nel Nord Kivu. A causa dell’acuirsi delle violenze in corso nella regione, Jules e i famigliari si sentivano in costante pericolo. “Quando subisci violenze piangi, ti picchiano e piangi, ti inseguono e piangi. Ti abitui a questo tipo di vita, ma arriva un giorno in cui pensi: “Non aspetterò di morire qui” e così ce ne siamo andati”.

Dopo un viaggio complicato, Jules e la sua famiglia hanno raggiunto l’Etiopia dove sono stati registrati come rifugiati e ospitati nel campo di Sherkole. “Nel campo misuravano il sale in una tazzina, non avevamo lo zucchero, niente di niente; abbiamo imparato a fare pasti con la fantasia, ma se fossi stato in Congo davanti a una tavola imbandita non avrei potuto essere più felice. Almeno dormivo con entrambi gli occhi chiusi, c’era la pace ed ero al sicuro” ricorda.

Jules ha potuto iniziare a pensare al suo futuro solo qualche tempo dopo essersi sistemato. Era preoccupato che essere un rifugiato non gli avrebbe permesso di continuare gli studi. “Ogni anno vedevo almeno due o tre persone tornare al campo dopo essersi laureate. Erano membri rispettati della comunità, ammirate da tutti e un punto di riferimento per chi aveva bisogno di un consiglio. Sapevo di volerlo anche per la mia vita”, spiega Jules.

Jules, 26 anni, dalla Repubblica Democratica del Congo, cammina nella città di Firenze verso il campus dell’Università. Foto: UNHCR/Michele Borzoni

Grazie alla sua determinazione, qualche anno dopo Jules è riuscito a iscriversi all’Università di Gambella. È qui che si è appassionato di agricoltura, e ha cercato di capire in particolare come la comunità del luogo era riuscita a raggiungere un’autosufficienza grazie al lavoro nei campi e alla pesca su piccola scala. Jules ha osservato le difficoltà che le comunità dovevano affrontare durante i periodi di siccità, che nel corso degli anni erano diventati più lunghi e più intensi. “Aspettare semplicemente il ritorno delle piogge era la normalità, ma ero convinto che con conoscenze e tecnologie migliori quelle comunità avrebbero potuto affrontare la siccità in modo diverso, e ad essere autosufficienti tutto l’anno”. Dopo aver letto di un programma contro la desertificazione gestito da rifugiati, Jules era più deciso che mai a voler continuare gli studi per essere di aiuto alla sua comunità.

Un amico gli ha parlato del programma dei Corridoi Universitari dopo aver visto un volantino negli uffici dell’UNHCR. “Ho fatto domanda senza pormi troppe aspettative: le possibilità di ottenere una delle borse di studio erano davvero scarse” ricorda. “Quando ho ricevuto l’e-mail dall’Università di Firenze che mi informava di essere stato accettato al Master in Gestione delle risorse naturali per lo sviluppo rurale tropicale, sono rimasto senza parole: ero al settimo cielo”.

Jules, 26 anni, dalla RDC, nella biblioteca di Scienze Sociali dell’università di Firenze. Foto: UNHCR/ Michele Borzoni

Il programma dei Corridoi universitari è reso possibile grazie a una partnership tra le università italiane e l’UNHCR. Offre ai rifugiati residenti in Etiopia la possibilità di ottenere una borsa di studio completa per ottenere un Master. Il progetto, iniziato nel 2019 con una fase pilota, da allora è cresciuto e ora offre un totale di 70 borse di studio in 28 università del Paese.

L’UNHCR sollecita l’attivazione di altri percorsi sicuri come i Corridoi universitari, che consentano ai rifugiati di frequentare corsi di studi specializzati e poter così realizzare i propri sogni per un futuro felice senza rischiare la vita in viaggi pericolosi.

Nonostante Jules non avesse mai pensato di trasferirsi in Italia, dopo aver ricevuto la notizia è andato su Google per raccogliere informazioni su Firenze. Ora, a un anno dall’inizio del programma, può confermare che le sue prime impressioni su una città così bella e accogliente erano corrette. “La mia facoltà è davvero molto inclusiva. Insieme a me ci sono molti altri studenti provenienti da tutto il mondo; imparo da loro così come dai corsi”, afferma. “I miei tutor sono persone incredibili, persone bellissime che mi hanno supportato al di là delle mie aspettative, sono diventati come una famiglia per me”.

Jules sceglie un libro nella biblioteca di Scienze Sociali dell’università di Firenze. Foto: UNHCR/ Michele Borzoni

Secondo il rapporto Global Trends 2020 pubblicato dall’UNHCR, nel mondo sono 82,4 milioni le persone che sono state costrette a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Solo il 68% dei minori è iscritto alla scuola primaria, il 34% alla scuola secondaria e il 5% in percorsi di istruzione terziaria.

Jules si laureerà la prossima estate. Ha in programma di tornare nelle comunità di rifugiati e, si augura di riuscire a migliorarne la sicurezza alimentare e l’autosufficienza. “I rifugiati hanno bisogno di opportunità come questa. Più competenze acquisiscono, più riescono a mantenersi. L’assistenza dell’UNHCR e di altre organizzazioni è una cosa positiva, ma hanno bisogno di conoscenze per poter avere una voce, per essere responsabilizzati e anche per poter sognare di nuovo”.

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